Primo soggetto di Uccellacci e uccellini apparso sulla rivista «Vie Nuove». Il soggetto seguente è apparso sulla rivista «Vie nuove», nel 1965, sui numeri: 17 del 29 aprile, 18 del 6 maggio e 19 del 13 maggio. Il soggetto, se pur rivisto in alcuni punti, rappresenta un'indicazione abbastanza fedele di quella che sarà la struttura definitiva del film. In principio Pasolini aveva pensato Uccellacci e uccellini in tre episodi, ma lo realizzerà come unico film con «dentro» un altro film.

 

I
L'aigle

Magari come epigrafe potremmo usare una frase di Mao che in una intervista dice pressappoco: «La Francia? Cosa vuole da noi la Francia? Appartiene forse al Terzo Mondo, ai popoli affamati? Ebbene, se è così accettiamo molto volentieri la sua amicizia...»

Il fondo della favola è la critica della crisi del liberalismo occidentale, e, nella fattispecie, del razionalismo parigino.

M. Cournot è il domatore di un famoso circo francese, sceso a Roma. Sta dando una intervista a dei giornalisti italiani, che naturalmente disprezza (magari non a torto...): che cosa annuncia? L'inizio di una impresa sensazionale: l'addomesticamento di un'aquila.

Eccola là, l'aquila, ancora muta e selvaggia, in un angolo del circo che pare un Pantheon: tutt'intorno ci sono le effigi dei «grandi» francesi, messe in ordine, secondo l'importanza: Sartre come Mauriac, Claudel come Camus. In una grande parete di fronte all'aquila, l'immagine di De Gaulle.

M. Cournot ha una moglie, una specie di Monica Vitti parigina, laica, intellettuale, ecc., e ha un piccolo aiutante, Ninetto, di Giando e di sora Maria, abitante al borghetto Prenestino.

Cominciano così giorni memorabili al Grand Cirque de France. M. Cournot ha una tattica tutta speciale nell'affrontare l'educazione delle bestie. Prima fa, pedagogicamente, finta di niente. Si limita a dare esempi di buona educazione in loro presenza (l'aquila è là): pranza, fuma, legge il giornale. La cavia è Ninetto, l'assistente la moglie. Poi comincia piano piano, come se niente fosse, a rivolgersi alla bestia, con molta cortesia e molto tatto, ignorando educatamente il suo stato di bestialità. Insomma egli propone direttamente alla bestia come modello l'uomo parigino, (non ha sospetto della possibilità di altri modelli, nota dell'Autore).

Egli comincia così a impartire all'aquila, nel Pantheon delle gerarchie isocefale dei Grandi, lezioni dirette di comportamento civile.

A tu per tu con l'aquila. Due grandi concezioni antitetiche della vita che si affrontano.

L'aquila tace, M. Cournot parla una lingua perfetta.

L'aquila continua a tacere, e M. Cournot comincia a impazientirsi.

L'aquila pare votata a un definitivo silenzio, e M. Cournot comincia ad asciugarsi il sudore e a sentire vacillare la propria dignità (da una parte la moglie, dall'altra l'animaletto italiano, Nino del Prenestino).

L'aquila non lo fila proprio per niente (espressione di Ninetto), e M. Cournot è all'esasperazione.

L'aquila pare perduta in sogni inattingibili, e M. Cournot scoppia: «Rispondi almeno! Di' una parola! Cosa pensi, cosa fai!» e giù improperi furenti, rimproveri degni di un accademico di Francia, pronunciati con rabbia elegante degna di un XXXXXXXX: egli non è in grado di concepire quel silenzio, quello sciopero di ogni sentimento e di ogni idea, quella lontananza, quella sordità morale, quell'indifferenza al reale, quell'introversione pazzesca, quella irrazionalità (il corsivo è nostro).

Ma l'aquila tace.

Tace travolta da interessi interni intatti.

Tace.